QUEL VUOTO INTERIORE

C’è qualcosa di incredibilmente pungente e scomodo nel non sentirsi a proprio agio con se stessi.

A volte ci si sente sbagliati, a volte lontani e distanti, a volte incompleti, a volte inutili, a volte non di valore, a volte sperduti, a volte annoiati, a volte confusi, a volte incomprensibili – persino ai propri occhi.

È come se un buco si aprisse nel petto, nella pancia. Un buco che si svuota di quella sensazione confortante di esserci, di esistere, di avere significato – e che, pur provando a far entrare di tutto, non si riempie di niente.

Di fronte alla sensazione di vuoto di solito scappiamo, cercando di riempirci con tutto ciò che riusciamo ad immaginare – il risultato di solito è solo di coprire, nascondere.

Ma cosa c’è dentro quello spazio vuoto? Perché ci fa così paura guardarci dentro? Quali bisogni ed emozioni chiedono di essere ascoltate? Cosa vorrebbe dire per noi ascoltarle? Quali parti di noi dovremmo mettere in gioco e a quali parti sentiremmo di dover rinunciare?

Spesso coprire il buco, cucendoci di volta in volta quello che ci sembra meglio combaciare con i suoi confini, richiede meno fatica rispetto all’idea di poter fare qualcosa di nuovo, perché se non altro è qualcosa che ci è familiare.

A volte però la scelta diventa nascondersi – o esserci davvero.

IL DOSAGGIO DELLE PAROLE

“Abbiamo parole per fingere,
parole per ferire,
parole per fare il solletico.
Andiamo a cercare insieme,
le parole per amare.

Abbiamo parole per piangere,
parole per tacere,
parole per fare rumore.
Andiamo a cercare insieme
le parole per parlare.” (G. Rodari, S. Endrigo)

Una persona con cui stavo facendo un percorso – una volta – mi ha detto: “È una riflessione sul dosaggio delle parole. Ci sono persone che le lanciano in aria e dove cadono cadono”.

Ho trovato fondamentale questo pensiero sul peso delle parole, su come una parola non sia solo un segno o un suono ma ben di più – una parola è un significato, che oltretutto non ha lo stesso senso, valore e peso per ognuno di noi.

Credo sia importante fermarsi a pensare a quanto ciò che diciamo o che ci viene detto possa lasciare un segno – aprire una ferita o imprimere una carezza, chiudere la comunicazione o creare un’apertura, fermare una speranza o muovere un’intenzione.

La parola può essere uno strumento, ma anche un’arma. Dosare le parole che usiamo significa prendere in considerazione ciò che l’altro potrà provare quando le sentirà – e prendersene cura.